Arrampicatrice, alpinista e guida alpina, innamorata della natura
Federica Mingolla è una delle alpiniste e arrampicatrici italiane più talentuose e affermate della sua generazione. Ha iniziato la sua carriera nell’arrampicata sportiva per poi spingersi sempre più in alto, aprendo nuove vie e affrontando itinerari estremi che l’hanno portata fino ai piedi degli Ottomila, come il
K2.
È stata la
prima donna italiana a salire in libera la storica "Via Attraverso il Pesce" sulla Marmolada e ha compiuto importanti ascensioni in luoghi iconici. Nonostante le sue straordinarie imprese e la notorietà acquisita, Federica non ha mai perso la sua genuinità, né la profonda connessione con la
montagna e la natura, elementi centrali del suo percorso.
In questa intervista ci racconta la sua evoluzione, il suo approccio personale all’alpinismo e le motivazioni che la spingono ancora oggi verso nuove sfide, mantenendo sempre intatti i valori che la legano alla montagna e alla vita all'aria aperta.
- Hai iniziato la tua carriera nell’arrampicata sportiva per poi dedicarti sempre di più all’alpinismo e alle grandi vie. Cosa ti ha spinto verso questa transizione e cosa rappresenta per te la montagna?
Quando ho iniziato a scalare, lo facevo quasi per curiosità, perché l'arrampicata mi attraeva profondamente. Ho cominciato con le gare, ma non è stata una mia scelta iniziale: abitando in città e iscrivendomi a un gruppo sportivo, mi sono ritrovata a partecipare a competizioni. Non era qualcosa che avevo deciso consapevolmente, ma è stato il percorso naturale. La vera decisione di iniziare a scalare all'aperto è stata invece una mia scelta. Ho scelto di unirmi a gruppi che andavano a scalare fuori e di provarci. Essendo una persona curiosa, ho continuato a esplorare tutte le sfaccettature dell'arrampicata, e ogni volta che ne scoprivo una, non riuscivo a fare a meno di capire cosa c'era oltre, di scoprire cosa ci fosse dopo e dopo ancora. Così, sono andata avanti, evolvendomi continuamente e seguendo una sorta di flusso che mi portava a conoscere sempre qualcosa di più. Questo percorso mi ha naturalmente spinta verso l'alpinismo, che è un mondo completamente diverso, ma con mille altre sfaccettature.
Per me, quindi,
l'arrampicata è un continuo crescere ed evolversi. Non riesco a restare ferma in un punto, per questo motivo non mi fermo mai: cerco sempre nuovi stimoli.
- Tra tutte le tue ascensioni, ce n’è una che ti ha segnato particolarmente, sia in positivo che in negativo?
Tra tutte le uscite che ho fatto, quelle in arrampicata, con la magnesite e su pareti impegnative, mi hanno sempre lasciato una sensazione di grande bellezza, entusiasmo e voglia di tornare a fare quelle stesse esperienze, magari in un posto diverso. Sono sempre state esperienze positive. Tuttavia,
un'esperienza che mi ha segnato è stata quella sul K2, l'estate scorsa. È stato un evento che mi ha toccato profondamente, perché sono felice di averla vissuta, di averci provato e di aver dato tutto per cercare di salire quella montagna. Però, devo ammettere che è un luogo dove non so se tornerei, non al K2 almeno. Non so nemmeno se definirla una cosa positiva o negativa, questa sensazione di non volerci ritornare, ma è un sentimento che sento dentro. Penso che quella sia stata l'esperienza che più mi ha segnata, soprattutto perché è stata completamente diversa da quello che faccio normalmente. Nelle nostre Alpi, si possono affrontare montagne alte, ma non ci si spinge mai oltre i 4.810 metri, quindi è difficile comprendere la fama di certi luoghi finché non ci si trova. Il K2 è noto come una 'zona della morte' e, purtroppo, è proprio così. Personalmente, preferisco ancora accarezzare la roccia e cercare la via più verticale, possibilmente sotto il sole, per arrivare in cima a una montagna. E questo, ovviamente, negli 8.000 metri non è possibile.
- Sei una delle poche donne ad aver aperto nuove vie e affrontato itinerari estremi. Come vedi la presenza femminile nel mondo dell’arrampicata e dell’alpinismo? Cosa consiglieresti a una ragazza che vuole intraprendere questo percorso?
Questa è una domanda difficile, ma posso dire che, come ho detto prima, tutto quello che ho fatto l'ho sempre fatto per me stessa. A parte il periodo in cui mi dedicavo alle gare, dove ero molto concentrata sulla prestazione e sul risultato, dopo aver iniziato a scalare all'aperto, ho sempre seguito i miei desideri, e più o meno ci sono sempre riuscita. Sono una persona determinata, cocciuta, e quando voglio qualcosa, mi impegno per ottenerlo. Quindi, quelle che chiami performance estreme per me erano semplicemente modi per realizzare un sogno. Non vedo ciò che ho raggiunto in montagna come un successo per aver raggiunto un obiettivo mondiale, ma più come una
realizzazione personale.
Per quanto riguarda la presenza femminile, credo che l'arrampicata sportiva abbia preso un ruolo determinante, anche grazie alle Olimpiadi. Le arrampicatrici forti sono molto concentrate sulla performance indoor o in falesia. Le donne che iniziano con l'alpinismo, invece, spesso non hanno il livello di arrampicata necessario per affrontare certi itinerari. La combinazione delle due cose – essere un'arrampicatrice forte e innamorarsi della montagna per scalare l'impossibile – non è molto comune, perché il passaggio dall'arrampicata sportiva all'alpinismo è complesso. Ci vuole tempo, dedizione, e anche risorse economiche, che nel mio caso sono state possibili solo grazie al fatto che vivevo ancora con i miei genitori. Ma è importante che chi intraprende questo percorso abbia la motivazione e il tempo per farlo.
L'alpinismo, storicamente, è stato uno sport prevalentemente maschile, e ci è voluto del tempo perché anche le donne cominciassero a praticarlo. Ora, pian piano, ci sono sempre più donne in montagna. Questo processo è simile a quello che è accaduto con il mondo del lavoro per le donne. Non mi è sembrato strano fare il mio ingresso in montagna in un momento in cui stava accadendo questa evoluzione, ed è per questo che non l'ho mai vista come una cosa straordinaria. Se fossi nata dieci anni prima, forse sarebbe stato più sorprendente, ma per me è sempre stato normale.
Cosa consiglierei alle ragazze che vogliono intraprendere questo percorso?
Semplicemente di seguire la loro passione. Che siano uomini o donne, se una persona è appassionata di qualcosa, deve metterci tutto sé stessa. Non ha senso creare una differenza di genere. Se una ragazza vuole fare alpinismo, lo faccia, senza preoccuparsi di 'come' lo fa, ma concentrandosi solo sul farlo al meglio delle sue capacità. Se non è forte come gli uomini in termini di forza fisica, può compensare con altre qualità, che sono altrettanto importanti.
Non è la forza pura a fare la differenza, ma la determinazione e la passione.
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